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“Viaggio al Centro della Donna, la Danza Orientale l’Arte che cura” Di Alessia Fignon

C’era una volta, un centro luminoso che partiva dal grembo di una giovane donna con lunghi capelli corvini e occhi magnetici, così magnetici da incantare chiunque incontrasse il suo sguardo.

Il suo potere immenso, era centrare il cuore di chi si imbatteva nella sua luce e dal cuore raggiungere il centro del ventre e dal ventre giù fino alla coppa della vita, al suo utero colmo di fiori colorati, in grado di generare un profumo inebriante e una dolcezza al cuore, che intender non la può chi non la prova……

Così tra un riferimento Dantesco  e l’inizio di una fiaba della buonanotte, ha inizio un Viaggio, al Centro della donna: un percorso che parte dal centro di chi osserva la donna, dal centro della donna stessa, dall’età in cui sono le fiabe della buonanotte che accompagnano l’immaginazione, fino all’età della responsabilità, in cui si è chiamati a conoscere come “funzioniamo e  come possiamo funzionare al meglio”, a come possiamo comprenderci e autosostenerci sia a livello fisico che emozionale, a come possiamo nutrirci  prendendoci cura di noi stesse, a come il confronto con altri popoli possa arricchire il nostro bagaglio.

La meta di questo Viaggio è la riconnessione con il nostro centro, tramite la scoperta e il recupero dell’immenso potere creativo che proprio la Madre terra ci ha donato. “Dietro ad un grande uomo ci sta sempre una grande donna”frase proverbiale che conferma quanto questo viaggio possa essere utile, come ogni esperienza del resto lo è, anche per l’uomo che come figlio, padre e compagno attraverso la donna può imparare a conoscersi e a vivere in armonia e in equilibrio. 

Il mio compito di medico ginecologo che si occupa di medicina integrata sarà quello di guidare al centro di questo ventre, provando a dare dei punti di osservazione non scontati rispetto alle tematiche legate al benessere femminile, attinti da anni di professione, che mi hanno permesso di scoprire un mondo che dall’apparato genitale arriva al cuore e alla mente e torna come in un ciclo vitale continuo a mantenere proprio l’equilibrio femminile nelle varie tappe di vita. Nell’adolescenza verranno affrontati i temi relativi al menarca, al ciclo mestruale, alla dismenorrea, alle irregolarità mestruali a come ci relazioniamo con la ciclicità e con la sessualità affinchè sia soprattutto consapevole.

Svariati i temi relativi all’età adulta dalle problematiche ginecologiche e neuroendocrine correlate, alle patologie infiammatorie che sempre e comunque hanno un denominatore comune che non possiamo cercare solo nell’apparto genitale ma osservando il linguaggio del corpo, considerando il nostro stile di vita che come ormai l’epigenetica ci insegna rappresenta le fondamenta di una vita sana.

L’età della saggezza, comunemente definita Menopausa, che segna l’arresto dell’attività utero ovarica apre una nuova epoca che in questo Viaggio verrà affrontata come una Nuova Alba, in cui la donna avrà l’opportunità di riconoscersi affrontando le trasformazioni sia fisiche che emotive inevitabili ma che possono essere vissute in maniera costruttiva e rigenerante, sostenendosi con lo stile di vita e con la riflessione su determinati aspetti che spesso non vengono nemmeno considerati e che possono fare la differenza in un mondo dove la superficialità e l’esteriorità sterile ha ormai preso il sopravvento e dove il ruolo della donna ha subito e subisce continui smottamenti.

Sarà Mara Micheli psicologa psicoterapeuta cognitiva esperta in EMDR a delineare il ponte tra la mente e il cuore, spiegando come influiscono le emozioni, quali circuiti si attivano e ci formano dall’età prenatale e come si possano trasformare gli scogli che si incontrano lungo il percorso di vita in meravigliose dune, affrontando tematiche del periodo adolescenziale, che potranno fornire delle riflessioni anche ai genitori che sono chiamati a interagire con i propri figli in un’età che sappiamo essere per certi versi critica, ma anche a  tutti coloro che prestano servizio in strutture educative e ogni giorno si trovano ad affrontare ragazze adolescenti. Il contributo di Mara proseguirà anche nei due moduli successivi, affrontando tematiche psicologiche comuni sia all’età adulta che all’età della saggezza.

Antonella Carini Tutor del corso Dieta Gift della Medicina di Segnale, Master internazionale in nutrizione, Coaching nutrizionale, si occuperà degli incontri informativi sull’alimentazione, informando su come sostenere la bellezza intesa come riflesso di equilibrio e armonia tra nutrimento e movimento, paradigma base della medicina di segnale. Nutrirsi non significa banalmente mangiare, introdurre cibo ma rappresenta il punto di partenza per prendersi cura di sé e ciò è fondamentale per la nostra salute, in qualsiasi periodo di vita ci si trovi, senza distinzione di età!!!

Alessandra Comneno  Insegnante e Praticante di Shamanesimo , Donna medicina secondo la tradizione Maya Tolteca sarà la guida che illuminerà la strada, come gli astri che guidano i pellegrini, ci accompagnerà nella cultura Maya Tolteca. L’incontro in giovane età con Abuela Margarita Nunez, donna medicina Chichimeca, le permette di di imparare ed ereditare l’arte shamanica e la Cosmovisione della Ruota della Medicina.

Nominata Chakaruna – donna ponte tra diverse culture – dalla “Escuela de los  Misterios Mayas” nel 1998, portatrice della Sacra Pipa, porterà argomenti interessanti e stimolanti per la nostra crescita di donne in cammino permettendo  così a chi lo vorrà di aprire le porte ad un femminile più connesso e consapevole.

In questa vita ho scelto di essere medico, studiando la medicina nella sua visione più ampia, senza esclusione alcuna, ritendendo che qualsiasi esperienza medica del passato e del presente, dal mondo occidentale e quello orientale, possa guidarci nel buon senso, nell’ascolto e nella scelta di quale sia la strada per la salute, il ben-essere, l’amore per noi stessi, per il prossimo, per la vita partendo dalla convinzione che ognuno di noi ha la responsabilità della propria salute e per essere responsabili e consapevoli ci si deve informare.

Negli anni ho seguito il desiderio e l’esigenza che la mia missione, l’arte medica si intrecciasse all’arte coreica, in particolare alla danza, che da decenni rientra nelle arti terapie, con diversi campi applicativi e con grandi risultati, poiché oltre all’indiscusso beneficio a livello muscolare, articolare e neurologico permette di manifestare attraverso il respiro e il  movimento le proprie emozioni e il proprio modo di Essere.

 Per la mia personale esperienza, ho ritenuto di proporre alcune tecniche della danza orientale come arte che cura.

Coloro che insegnano danza orientale in realtà fanno già “terapia”, perché guidano l’allieva nell’esecuzione di  movimenti corporei armoniosi, educano alla concentrazione, alla visualizzazione del movimento, all’ascolto del movimento  e alla percezione del corpo e all’emozione che ne deriva, aprendo le porte alla creatività; in sala di danza si spiega come respirare durante i movimenti e il respiro è fondamentale per ognuno di noi non solo perché permette l’ossigenazione cellulare dei tessuti ma anche perché il respiro  rappresenta il movimento stesso della vita un’incessante e continua alternanza tra l’espansione e la contrazione, tra il trattenere e il lasciare andare che segue la legge degli opposti che regola la nostra natura.

Imparare danza orientale significa “lavorare” nel superamento dei propri limiti fisici o dei condizionamenti mentali che spesso ci autoinfliggiamo in quanto non si corrisponde ai modelli proposti dai social media; il seno troppo piccolo o troppo grosso, il ventre troppo pronunciato o troppo piatto, le cosce troppo voluminose o  troppo magre, i glutei cadenti o troppo abbondanti, le  labbra poco carnose, l’età che avanza e che per convenzione pone un limite all’arte della danza e  chi più ne ha più ne metta…”Quando fai un lavoro creativo, sei assolutamente senza tempo. Non c’è età alla creatività!” scrive Eileen Kramer, ballerina, coreografa di 108 anni!!!

Non esiste il troppo, esistono le differenze che permettono lUNICITA’ ed è proprio questa DIVERSITA’ ciò che avvalora ognuna di noi. E chi insegna e studia danza orientale, va oltre il pregiudizio di una danza di intrattenimento seduttivo, come purtroppo è da tempo considerata, quando ci sarebbe invece da scrivere un’enciclopedia relativa alle origini e agli sviluppi di questa meravigliosa arte e alle sue contaminazioni, figlie dei tempi e della storia.

L’interazione di gruppi di donne, la complicità, la solidarietà e il sostegno che si crea e anche il confronto con i limiti e le criticità di ciascuna, è ciò che alimenta la forza per superare ogni falsa credenza; e in ultimo non dimentichiamo l’azione di attivazione dei centri energetici, che a partire dal centro del corpo, il ventre, seguono tutti i meridiani rinforzando la connessione corpo- anima -spirito.

Il Viaggio è composto da 3  moduli divisi per fasce di età: 

adolescenza ( 11-17 anni), età adulta ( 18-45 anni), età della saggezza ( dai 46 anni)

ogni modulo prevede 3 incontri informativi  e di confronto online  e 1 incontro di danza orientale con il velo in stile lirico online dove il ruolo medico si intreccerà a quello di insegnante di danza orientale con il supporto della psicoterapia cognitiva.

Il Viaggio vedrà la sua prima tappa conclusiva in presenza a Grondona (AL) il 6 aprile 2024

PER INFO E ISCRIZIONI scrivere a: eventi@alessiafignon.it   

“Posso amare anche se …”

“La propensione ad esperire l’angoscia per la separazione e il dolore per la perdita sono i risultati ineluttabili di una relazione d’amore, del fatto di voler bene a qualcuno (Bowlby, 1973)”
Cito spesso Bowlby nei miei articoli perchè nella attività clinica è sempre più chiaro come si possano rileggere insieme al paziente storie critiche di vita, partendo dalla storia di attaccamento.

I primi studi sulla separazione di Bowlby e dei suoi collaboratori comprendevano descrizioni sistematiche delle relazioni psicologiche alla separazione e perdita nei bambini e negli adulti (Bowlby et al.; 1952; Parkes 1964). Bowlby da questa osservazione individuò due principali fattori: la separazione e la rabbia. Abbiamo visto, in un articolo precedente, che la strategia insicura- ambivalente comporta l’aggrapparsi all’agente delle cure materne spesso con una sottomissione eccessiva o a volte con l’adozione di un inversione di ruolo nella quale ci si cura dell’agente delle cure materne invece che viceversa; quest’ultima modalità consente comunque una vicinanza alla figura di attaccamento anche se avviene con una modalità “non corretta”.

I sentimenti di rabbia in questo stile di attaccamento sono soggetti in massimo grado all’esclusione difensiva, questo implica che i modelli non possono essere aggiornati alla luce di nuove esperienze rinforzando lo stile relazionale; mancano quindi opportunità per l’elaborazione emotiva di affetti dolorosi.

L’esclusione difensiva o “barriera della comunicazione”, porta il bambino a costruire un falso sé, se questa modalità avviene occasionalmente per esempio per distogliere l’attenzione da vissuti dolorosi può avere una funzione protettiva per l’individuo che “si distrae” da contenuti dolorosi, mentre se diventano fissi e rigidi portano al costituirsi di legami affettivi disfunzionali in cui non solo con il genitore ma anche nelle prossime relazioni future il soggetto diventa incapace di esprimere un equilibrato sentimento affettivo.

E’ attraverso i modelli operativi interni che i pattern di attaccamento dell’infanzia sono stati trasposti nella vita adulta e poi vengono trasmessi alla nuova generazione. Così come la relazione madre-bambino non può essere intesa come basata sull’alimentazione, così i legami di coppia adulti non possono essere spiegati dalla sessualità. Il sesso senza attaccamento e il matrimonio senza sesso sono entrambi fenomeni così comuni da suggerire che il sistema di attaccamento e il comportamento sessuale siano entità psicologicamente separabili. Lo scopo del matrimonio è quello di fornire una base sicura e un sistema di attaccamento che può essere riattivato in tempi di bisogno.

La prima relazione di attaccamento ha innegabilmente influenze sulle relazioni successive ma non si può concludere con altrettanto certezza che tali relazioni abbiano la stessa natura; entrano infatti in gioco scopi diversi come la sessualità, la cooperazione, l’appartenenza e il raggiungimento degli obiettivi.Nella vita adulta le persone con uno stile relazionale insicuro-ambivalente sono trascinate dal vortice della passione pensando sempre di aver trovato la persona giusta attraverso un idealizzazione continua.

Cosa accade a figli insicuri che diventano a loro volta genitori? Il bambino insicuro – ambivalente presenta una spiccata compiacenza verso l’altro tenendo conto che dalla costanza della madre deriva il senso della nostra storia personale, l’affidabilità della risposta della madre al bambino diventa il nucleo della competenza autobiografica; la capacità di autoriflessione e la possibilità di concepire se stessi e gli altri come persona che hanno una mente sono alla base di relazione sane ed efficaci.

Heinz Kohut (1977) ha basato la sua psicologia del sé descrivendo i “bisogni di oggetto sé” che continuano nell’infanzia attraverso tutta la vita e comprendono il bisogno dell’individuo di risposte empatiche da parte dei genitori, degli amici, degli amanti e dei coniugi (e dei terapeuti). La capacità di dare e ricevere risposte empatiche dall’ambiente e dagli altri porta all’esistenza di una persona una senso di vitalità e di significato, di sicurezza e di autostima;  la mancanza di esso porta a vissuti narcisistici della personalità caratterizzati dalla ricerca disperata di oggetti di sé. Quando questi oggetti di sé (altri significativi) si dimostreranno inadeguati, come è inevitabile  che sia (perchè tutti siamo inadeguati!), la persona risponderà con “rabbia narcisistica” e con la delusione. con le quali in assenza di un “oggetto sé” , non possono essere trattate in modo riproduttivo.Così il più delle volte si rimane incastrati in relazioni dolorose e/o in un ritiro sociale importante.


Astienti ancora un poco dalla felicità,e seguita a respirare dolorosamente in questo mondo crudele,non fosse altro che per raccontare la mia storia
W. Shakespare, Amleto, Atto V, Scena II.

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Bowlby, J. (1982): Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Bowlby, J. (1983): Attaccamento e perdita, Vol. 3: La perdita della madre, Boringhieri, Torino. 
Bowlby, J. (1989):Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello 
Cortina Editore, Milano.

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Kohut H. (1974-75 [1996]). The Chicago Institute Lectures (P. Tolpin & M. Tolpin, editors). Hillsdale, NJ: Analytic Press, 1996 (trad. it.: Lezioni di tecnica psicoanalitica. Le conferenze dell’Istituto di Chicago. Roma: Astrolabio, 1997).

Kohut H. (1959-81 [2003]). Introspezione ed empatia. Raccolta di scritti (1959-1981). Torino: Bollati Boringhieri, 2003.

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Kohut H. (1974 [1987]). The Kohut Seminars on Self Psychology and Psychotherapy with Adolescents and Young Adults (M. Elson, editor). New York: Norton, 1987 (trad. it.: Seminari. Teoria e clinica della psicopatologia giovanile. Roma: Astrolabio, 1989).

Kohut H. (1977). The Restoration of the Self. New York: Int. Univ. Press (trad. it.: La guarigione del Sé. Torino: Boringhieri, 1980).

Kohut H. (1978-81 [1988]). The Search for the Self. Selected Writings of Heinz Kohut: 1978-1981. Volumes 3 & 4 (P.H. Ornstein, editor). New York: Int. Univ. Press, 1988.

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Kohut H. (1984). How Does Analysis Cure? Chicago: Univ. of Chicago Press (trad. it.: La cura psicoanalitica. Torino: Boringhieri, 1986).

Kohut H. (1985). Self Psychology and the Humanities: Reflections on a New Psychoanalytic Approach (C.B. Strozier, editor). New York: Norton (trad. it.: Potere, coraggio e narcisismo. Psicologia e scienze umane. Roma: Astrolabio, 1986).

Relazioni significative e stili di attaccamento: “dalla culla alla tomba?”

Bowlby (1973) definì l’attaccamento come una “connessione psicologia duratura tra gli esseri umani.

Questa teoria può essere molto soddisfacente perché capace di spiegare come si scelgono i partner.

Il nostro modello di attaccamento può spiegarci molte cose, ma quando e dove si formano questi modelli?

I modelli di attaccamento si formano nella prima infanzia e continuano a funzionare come modello operativo interno (MOI) nelle relazioni in età adulta. I MOI sono modelli interni che definiscono l’insieme di schemi di rappresentazione interna come immagini, emozioni, comportamenti connessi all’interazione tra bambino e gli adulti significativi.

Nella teoria dell’attaccamento il sistema di attaccamento è inteso come un sistema motivazionale innato (SMI, Liotti 2001) teso a mantenere l’omeostasi dell’organismo e che viene attivato soltanto in specifiche situazioni, quando cioè l’organismo si sente in pericolo. L’angoscia di separazione è un buon indicatore che la relazione di attaccamento si è stabilita.

Bowlby ha concettualizzato la teoria dell’attacamento come un sistema psico-evolutivo che guida il comportamento sociale “dalla culla alla tomba” il cui scopo è quello di mantenere un livello ottimale di prossimità con l’altro significativo che dovrebbe soddisfare i nostri bisogni primari; questo passaggio è molto importante perché costituisce i primi schemi di risposta con l’altro e l’ambiente che un individuo sviluppa.

Gli esperimenti di Harlow (1961) hanno mostrato come la tendenza a mantenere una vicinanza con le figure genitoriali trovi la sua innata motivazione in una ricerca di contatto, di conforto e di protezione, più che nella ricerca di pulizia e di nutrimento.

Le risposte che apprendiamo su base insicura da un genitore possono portarci a leggere il mondo come pericoloso e come invece una persona con attaccammo sicuro può avere la stessa esperienza di vita, ma leggerla e viverla come positiva senza che il mondo sia vissuto come minaccioso.

Per Bowlby il formarsi della coppia in età adulta poggia sulla capacità del partner di confermare le rappresentazioni del sé e degli atri formatesi nella prima infanzia.

E’ importante sottolineare come nel corso della vita si possano comunque incontrare altre figure di riferimento significative che possono a loro volta sviluppare con il bambino diverse relazioni (padre, insegnanti, altre figure di riferimento; tuttavia il legame con la figura primaria e il suo stile di accudimento svolgerà un ruolo fondamentale che resterà attivo in tutte le relazioni future in cui si instaurerà un attaccamento.

Molti studi condotti fino ad oggi dimostrano che chi ha un attaccamento sicuro, riuscirà a soddisfare i propri bisogni e quelli dell’altro, mentre, con uno stile di attaccamento insicuro la persona tenderà a cercare un partner che non risponde o risponde in parte a certi bisogni (attaccamento insicuro-ansioso, insicuro-ambivalente).

Vediamoli nello specifico:

Attaccamento Sicuro: da bambini sono stati riconosciuti nei loro bisogni sviluppando una relazione di attaccamento sicura; da adulti sono capaci di offrire supporto emotivo quando il loro partner si sente afflitto e sono capaci di chiederlo se ne hanno necessità. Modello operativo interno: è “degno di amore”, il mondo può essere esplorato.

Attaccamento insicuro-evitante: da bambini questi individui hanno fatto esperienza di una madre che non dava sicurezza affettiva , che si approciava con modalità fredda e distaccata, mai disponibile a soddisfare bisogni d’amore e/o di conforto. Modello operativo interiorizzato li definisce come “non degni di amore”, il mondo è vissuto come pericoloso, inaffidabile. Le persone con questo stile di attaccamento hanno la tendenza a distanziarsi emotivamente dall’altro, si percepiscono pseudo-indipendenti, dall’esterno appaiono concentrati su loro stessi e sulla propria realizzazione personale, non sono mai coinvolti emotivamente sul partner.

Attaccamento insicuro-ambivalente: la madre di questo tipo di attaccamento è imprevedibile (a volte riescono a sintonizzarsi sui bisogni dei bambini altre volte no). I rapporti sono caratterizzati da continue idealizzazioni del partner sono possessivi ed esigente quando percepiscono insicurezza quasi a richiamare l’attenzione come molto probabilmente dovevano far da piccoli. Modello operativo interiorizzato è quello del non essere degni di amore.

Esiste un quarto stile di attaccamento chiamato attaccamento disorganizzato in cui le figure di riferimento da una parte danno accudimento ma dall’altra possono diventare violente e/o trascuranti non proteggendo il bambino quando si sente sopraffatto. Questo stile di attaccamento porta a disregolazione emotiva in quanto la madre non è in grado di leggere i propri vissuti interni e quelli del bambino; ciò significa che sono presenti deficit nell’utilizzo di strategie adattive per modulare l’intensità o la durata dell’esperienza emotiva. Modello operativo interno sono molteplici e contraddittori tenendo presente il costante alternarsi di sentimenti di paura, aggressività e di sollievo che il bambino prova nella relazione di attaccamento.

Lo scopo dell’attaccamento è quello di essere protetti e accuditi per la sopravvivenza del individuo. La teoria ecologica di Bowlby suggerisce che i bambini hanno un innato bisogno di formare un legame di attaccamento con un cargiver, che accresce le possibilità di sopravvivenza del bambino.

L’importanza del conoscere il proprio stile di attaccamento ci porta da un punto di vista clinico di poter fare interventi preventivi sui minori con condizioni di disagio psicologico, come prevenzione di manifestazioni psicopatologiche future. In ambito psicoterapeutico si può portare il soggetto ad una maggiore consapevolezza nel vivere le relazioni significative con modalità più funzionali; ogni stile relazionale può essere modificato con un buon lavoro personale potendo quindi diventare più capaci nel riconoscere i nostri bisogni e quelli dell’altro.

“dalla culla ad una buona psicoterapia”…..

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Lutto e trauma nei bambini

La perdita di una persona amata è una delle cause di maggiore dolore, è fonte di tormento e angoscia e può portare a credere che soltanto il ritorno di quella persona potrebbe portare conforto.

Pensiamo che i bambini non provino la stessa intensità di dolore degli adulti, ma non è affatto così.

Spesso i bambini hanno bisogno che siano gli adulti a trovare le parole per descrivere ciò che loro non riescono a trasformare in discorso. Un bambino che soffre, ma che non riesce a trovare il modo di dirlo, lo manifesta solitamente nel comportamento.
I bambini provano sentimenti molto intensi e non seguono delle fasi come negli adulti. Questo per il diverso sviluppo cognitivo e per la presenza di maggiori meccanismi di difesa che portano il bambino a staccarsi più velocemente dagli eventi dolorosi per non soffrire troppo. Le emozioni che ritroviamo più spesso in questi casi comprendono tristezza, ansia (manifestata con comportamenti iperattivi, inquieti o aggressivi), colpa, rabbia, vulnerabilità e insicurezza, isolamento, disturbi della condotta, disturbi del sonno, dell’attenzione, di concentrazione, regressione, sintomi psicosomatici.

Non è possibile elaborare completamente un lutto senza la presenza di un’altra persona (Bowlby, 1973); per questo bisogna aiutare il bambino a trovare un linguaggio per raccontare “l’amore perso”.

È sicuramente importante raccontare come si sentiva quando amava ed era amato dalla persona che non c’è più, non parlarne lo impoverirebbe emotivamente.

Il suo amore ha bisogno di trovare una voce, così come il suo dolore.

I genitori o le persone di riferimento che si occupano del bambino possono fargli capire quanto è stato fortunato ad aver vissuto una relazione profonda con qualcuno che rimarrà per sempre come un tesoro nel suo cuore e continuerà a riscaldarlo profondamente nell’animo. Un amore che non si esaurirà mai anche nella scomparsa.

Per favorire la separazione è utile sostenere il ricordo di eventi positivi che hanno legato il bambino e la persona scomparsa così il bambino ha la possibilità di introiettare l’eredità spirituale e affettiva lasciata dalla persona scomparsa.

Costruire un senso di continuità tra passato e presente permette al bambino di avere maggiore coerenza e linearità con il proprio mondo interno ed esterno. Mostrare ai bambini le proprie emozioni rispetto come viviamo il lutto è importante, in quanto consente loro di imparare che questi hanno un inizio, una durata ed una fine.

Situazione ancora più complessa è quando il bambino subisce la morte di un genitore. L’esperienza provoca sempre un trauma. Se la morte è improvvisa per esempio a causa di un incidente o di una malattia, il bambino oltre a reagire alla morte del genitore può sviluppare ansia nei confronti del genitore sopravvissuto o dei famigliari stretti.

Anche i lutti subiti dai genitori, quindi indiretti per il bambino, influenzano la relazione d’attaccamento che il genitore ha con il proprio figlio e per questo i genitori vanno supportati nell’elaborazione del lutto, in modo che la relazione d’attaccamento possa stabilirsi correttamente.

Un lutto essendo traumatico può determinare un disturbo post traumatico da stress.

Quando in famiglia avviene qualcosa di così traumatico come una morte è impossibile nascondere la realtà o posticipare la sua comunicazione. Il bambino capisce subito cosa sta succedendo da tutta una serie di segnali indiretti come l’espressione del volto dei genitori, i cambiamenti nelle abitudini quotidiane della famiglia, dall’emotività elevata che costantemente ed inevitabilmente emerge. La notizia della morte dovrebbe essere comunicata dai genitori o dal genitore sopravvissuto e dovrebbe essere fatto il prima possibile. I bambini infatti hanno necessità di due cose fondamentali: potersi FIDARE e conoscere la VERITÀ.

Gli effetti più disturbanti in queste situazioni sono dati dalla sensazione di non capire cosa stia succedendo. Questo crea molta confusione e insicurezza nel bambino, che tenterà di gestire attraverso delle personali interpretazioni la realtà. I timori inizialmente riguardano di solito il pensiero di aver causato l’evento, che la stessa cosa possa capitare a lui o alla mamma/papà, e soprattutto il pensiero di chi si occuperà di lui. Comunicare la notizia in maniera adeguata: per aiutare il bambino a comprendere e rassicurarlo dalle sue paure è importante parlare subito con lui.

Bisognerebbe utilizzare un linguaggio semplice e comprensibile per il bambino, ma chiaro e non ambiguo in modo tale che non si creino aspettative irrealistiche. Bisogna essere disponibili anche a rispiegare più volte i fatti, senza aggiungere dettagli irrilevanti e tentando di rispondere solo alle domande del bambino con esempi concreti e veritieri. Non utilizzare metafore o menzogne rispetto all’accaduto nel tentativo di rendere la comunicazione meno dolorosa, in realtà questo ha il solo effetto di creare confusione e sfiducia nel bambino. Fate attenzione al linguaggio del corpo che deve essere coerente con quello che dite e comunica molto di più delle parole stesse.

A seconda delle convinzioni religiose della famiglia si può dire che loro trovano risposta in quello che indica il loro credo.
Soprattutto è importante specificare al bambino che niente di quello che ha potuto fare o pensare ha avuto un ruolo nella morte, ne avrebbe potuto evitarla.

Sarebbe utile educare i bambini all’evento della morte prima che questa si presenti come evento traumatico nella sua vita. Si possono sfruttare occasioni come la morte di una pianta o di un animale per spiegare la morte come assenza di vita. Il bambino avrà così l’occasione di vivere un’esperienza che gli faccia capire che la morte è reale, definitiva, naturale e un’occasione per dire addio.

 

Bowlby J. (1973). Attachmnet and Loss: vol. 2 – Separation, Anxiety and Anger, London, Hogarth Press; trad. it. Attaccamento e perdita: vol. 2 – La separazione dalla madre, Torino, Bollati Boringhieri, 1978
Sunderland M. Aiutare i bambini a superare lutti e perdite. Erickson 2015
Verardo A. R., Russo R. Tu non ci sei più e io mi sento giù. Editore CSR – Roma

Le ossessioni e le compulsioni: quale senso di colpa nascondono?

Le caratteristiche centrali del disturbo ossessivo compulsivo sono:

  • La ripetitività, la frequenza e la persistenza della attività ossessiva infatti i pensieri intrusivi si ripresentano alla mente con frequenza e permangono in modo duraturo e continuo;
  • La sensazione che tale attività sia imposta e compulsiva.

Le ossessioni sono idee, pensieri, impulsi o immagini che insorgono improvvisamente nella mente e che vengono percepiti come:

  • INTRUSIVI: la persona ha la sensazione che “irrompano da soli” o che siano indipendenti dal flusso di pensieri che li precede);
  • FASTIDIOSI: la persona sperimenta disagio per il contenuto o per la frequenza;
  • PRIVI DI SENSO  la persona ha la sensazione che siano irrazionali, esagerati o comunque non giustificati o poco legati alla realtà presente.

Le compulsioni sono azioni mentali e/o comportamenti che si manifestano in risposta alle ossessioni e che ne rappresentano un tentativo di soluzione; di solito sono seguite da un senso sollievo dal disagio causato dalle ossessioni, seppure un sollievo solo temporaneo.

Per spiegare le cause si fa di solito ricorso a spiegazioni di tipo bio-psico-sociale.

Dal punto di vista psicologico, esistono evidenze del fatto che alcune esperienze e alcune caratteristiche educative possono contribuire fortemente alla genesi del disturbo ossessivo compulsivo.

Lo scopo di prevenire una colpa è una condizione necessaria per avere sintomi ossessivi.

Esistono ampie evidenze empiriche e cliniche che il timore di colpa e l’elevato senso di responsabilità predicono la tendenza ad avere ossessioni e compulsioni.

Anche una forte rigidità morale, di frequente frutto di una educazione particolarmente severa, con grande attenzione alle regole e con punizioni sproporzionate e/o difficilmente prevedibili, è un elemento che generalmente si trova nella storia delle persone che soffrono del disturbo ossessivo compulsivo (DOC); si tratta di aspetti educativi che molto probabilmente favoriscono l’esagerata responsabilità e la sensibilità alla colpa.

Chi soffre di DOC vive una vita oppressa dal senso di colpa. Come cita Mancini e il suo gruppo di lavoro nel libro “La mente ossessiva”, alla base del disturbo c’è un particolare senso di colpa, quella denominata colpa morale, legata cioè alla trasgressione di una norma e alle conseguenze nocive che potrebbero nascere.

E’ questo tipo di colpa che ti fa chiedere: “hai chiuso il gas?”, perchè se non lo fai bene con sufficiente cura, potresti causare danni terribili. “se ho pensato a qualcosa di tremendo allora potreii farlo realmente”; e allora non posso far altro che controllare che non arrivi più quel pensiero. così facendo naturalmente il pensiero tornerà e ogni tentativo di sopprimerlo lo impone sempre più alla coscienza rendendolo più vivido e quasi reale. Mancini descrive gli strumenti della terapia cognitiva, a tutt’oggi l’approccio che più di ogni altro si è mostrato utile per ridurre il DOC.

Fai un’azione che credi dannosa ed evita di mettere in atto compulsioni, vedrai che tra un po’ l’ansia ti passa. Cerca di capire che c’è realmente dietro quel disgusto che provi per te stesso e rivolgi lo sguardo altrove.

 

Il decorso e le conseguenze del DOC:

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) tende a cronicizzarsi, seppure con fasi di miglioramento che si alternano a fasi di peggioramento, raramente il suo decorso è episodico.

Considerando che di solito l’esordio è in età giovanile, si tratta di un disturbo che colpisce prevalentemente persone giovani, dunque con una lunga aspettativa di vita. Una frequente conseguenza del disturbo è un peggioramento della vita anche dei familiari: la persona può avere sintomi così pervasivi da diventare invalidanti non solo per sé, ma anche da impedire il normale funzionamento della vita dei familiari.

 

Come guarire?

Le linee guida internazionali indicano nella terapia farmacologica e nella terapia cognitivo-comportamentale i trattamenti più efficaci.

La terapia cognitivo-comportamentale è finalizzata a breve termine a ridurre la quantità e la frequenza dei sintomi e, più a lungo termine, a rendere il soggetto meno vulnerabile ai temi e ai meccanismi cognitivi che hanno contribuito alla genesi e al mantenimento del disturbo ossessivo compulsivo.

La tecnica elettiva nel trattamento è l’Esposizione combinata con la Prevenzione della Risposta.

L’esposizione (nelle sue diverse varianti: esposizione graduale o prolungata; per immagini o in vivo) consiste nel mettere un soggetto in contatto con uno stimolo o situazione che elicita disagio per un lasso di tempo maggiore a quello che il soggetto normalmente tollera.

Ad esempio si chiede ad un soggetto che ha tra i suoi sintomi quello di evitare di toccare le maniglie delle porte, di toccare una maniglia e di mantenere il contatto per 2 minuti. La sperimentazione dell’ansia è negli obiettivi della tecnica; il paziente viene però aiutato sia graduando l’esposizione e sia attraverso interventi preventivi che motivano e riducono la minacciosità del contatto.La prevenzione della risposta consiste nel bloccare i comportamenti sintomatici normalmente messi in atto dal paziente dopo il contatto con la situazione temuta. Il comportamento viene bloccato per un tempo maggiore rispetto quello in cui il paziente è “naturalmente” capace di procastinare la risposta.

In uno studio del 2011 condotto da Nazari vengono messe a confronto due tipologie di trattamento per il Disturbo Ossessivo-compulsivo (DOC): trattamento farmacologico con citalopram e EMDR. Entrambi migliorano i sintomi del DOC, ma tra i due l’EMDR risulta essere il trattamento maggiormente efficace.

Il presente studio costituisce uno dei primi tentativi di confronto tra EMDR e SSRI nel DOC, quindi i risultati devono essere considerati con cautela in funzione anche di quegli elementi che l’autore stesso ha individuato come limiti del proprio lavoro (follow-up a breve termine, bassa dose di citalopram e nessuna registrazione degli effetti collaterali).

 

BIBLIOGRAFIA:

Mancini, F. (2016). La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo. Cortina Raffaello Editore.

Lakatos A., Reinecker H. (2005). Terapia cognitivo-comportamentale nel disturbo ossesivo-compulsivo. Giovanni Fioriti Editore.

Nazari H., Momeni N., Jariani M., & Tarrahi MJ. (2011). Comparison of eye movement desensitization and reprocessing with citalopram in treatment of obsessive-compulsive disorder. International Journal of Psychiatry in Clinical Practice, 15(4): 270–274. DOI: 10.3109/13651501.2011.590210. Epub 2011 Aug 3.

L’incontro fra paziente e terapeuta è l’incontro di due storie e dove avviene l’incontro si costruisce una nuova storia dove entrambi partecipano attivamente

Quello che solitamente si richiede ad uno psicoterapeuta è una buona capacità a monitorare in modo continuo l’andamento emotivo della relazione, esplorando le proprie emozioni e provando a stimolare una riflessione congiunta con il paziente su ciò che sta accadendo nella relazione.
È molto importante per permettere questo capire cosa accade nella mente dell’altro e nella nostra mente.
Cosa ci aspettiamo da una relazione e cosa mettiamo in gioco del nostro passato?
I sistemi motivazionali
I sistemi motivazionali fondano su disposizioni innate, selezionate dai processi evoluzionistici. Si tratta di tendenze, propensioni ad agire verso obiettivi specifici (differenti dal concetto di istinto), inviti a perseguire particolari forme di interazione fra organismo e ambiente. Queste tendenze sono universali ed operano in tutti gli individui della specie anche se le loro espressioni concrete nel comportamento variano in funzione dell’esperienza del singolo individuo.
Ogni comportamento è dunque espressione di un confronto fra tendenze innate a perseguire determinate mete e le memorie di precedenti interazioni fra individuo e ambiente. Ogni comportamento contiene comunque un elemento motivazionale diretto a una meta tesa a realizzare un valore evoluzionistico di adattamento.
Ma quanti e quali Sistemi sono stati individuati dalla ricerca?
Conoscere gli SMI attivati durante la terapia  è importante per fornire risposte appropriate rispetto a schemi disfunzionali interiorizzati apportando così cambiamenti validi e funzionali.
Così il percorso terapeutico viene scritto a quattro mani.

Penso troppo!!! Mi farà bene?

Il rimuginio si differenzia dal pensiero creativo o pensiero funzionale in quanto rimaniamo chiusi nei nostri pensieri negativi e immaginiamo situazioni negative.

Il termine rimuginio è stato introdotto nel campo della psicopatologia cognitiva dagli studi di Borkovec come fenomeno mentale che si accompagna all’ansia e contribuisce al suo mantenimento e aggravamento. In seguito, ha attratto crescente interesse e attenzione, fino ad essere inserito come criterio diagnostico principale del disturbo d’ansia generalizzato nel DSM-IV (APA, 1994).

Il rimuginio patologico sarebbe caratterizzato dalla ripetizione mentale persistente dei termini del problema, unito a predizioni catastrofiche legate al problema che preoccupa il soggetto; inoltre, persiste un’incapacità di scegliere con decisione un piano operativo di risposta al pericolo e di soluzione al problema, in quanto il soggetto tende a giudicare ogni soluzione come insufficiente e non risolutiva.

Quando ci si trova a pensare più spesso ad un problema è bene dunque porsi alcune domande:

  • “I miei pensieri portano ad una soluzione?”;
  • “I miei pensiseri sono utili per affrontare la situazione?”.

Successivamente bisogna distinguere il rimuginio produttivo da quello non produttivo.

Il rimugino produttivo lo possiamo riconoscere perché porta all’azione.

Ricercate i comportamenti evitanti: l’evitamento è una modalità mentale e comportamentale, un processo che consiste nel tenersi lontano da quei luoghi, circostanze e situazioni in cui esperienza ansiosa si è precedentemente verificata o pur senza essersi mai verificata prima, ha secondo il soggetto, più possibilità di verificarsi in futuro.

Inutile sottolineare come questa strategia dell’evitamento sia esistenziale per i pazienti con attacco di panico che progressivamente restringono il loro campo d’azione per non rischiare di incorrere in situazioni che ritengono insopportabili.

Evitando alcune situazioni il rischio è quello di impedirsi di poter cambiare idea rispetto a quanto si teme, costringendosi così a evitamenti sempre più estesi.

Trasformate l’evitamento in esplorazione: con l’esplorazione si ricerca la novità, si allargano i confini, mentre l’evitamento li restringe. L’evitamento in sé non è negativo e anzi può risultare molto utile quando si prevede che le novità siano così minacciose da destabilizzare il sistema stesso.

Attenti a come valutate e interpretate i vostri processi mentali: per esempio nell’attacco di panico la perdita d’integrità psicofisica è temuta in modo tale che il solo pensare all’eventualità di poter subire, ad esempio, un infarto spaventa moltissimo. I sintomi fisici dello spavento e della paura generano ulteriore ansia perchè vengono interpretati come la prova che l’evento temuto si sta veramente realizzando in quel momento. L’interpretazione errata agisce come moltiplicatore della paura stessa e provoca il panico.

Watkins, E. (2016). Rumination-Focused Cognitive -Behavioral Therapy for Depression. The Guilford Press.

Sassaroli S. Lorenzini R. Ruggiero G. M. (2006). Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Raffaello Cortina Editore.

Wells, A. (1999). Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia. McGraw-Hill.

“Mi sento sbagliata è tutta colpa mia. Pensieri che fanno star male!”

Quante volte ci siamo ripetuti frasi come queste: “Mi sento sbagliato, ho rovinato tutto, la mia vita è un fallimento ecc.” senza tener conto che sono proprio pensieri come questi a farci star male (Non dimentichiamo che non sono le cose che accadono a farci star male, ma i pensieri che ci facciamo sopra ad innescare situazioni di malessere).

Evidentemente il modo di vedere il mondo, anche se condiviso, rende le persone più o meno serene.

La mente da se stessa può far diventare un paradiso un inferno e un inferno un paradiso (Jhon Milton, Paradise Lost, I, 253).

Cosa possiamo fare allora per cercare di modificare i nostri pensieri???
Accade un qualcosa, ci penso sopra e in base a quello che penso posso star bene o male e di conseguenza comportarmi in maniera positiva o negativa.

Chi pensa in questo caso sono io, quindi, dipende molto da me!

Secondo la REBT (Rational Emotive Behaviour Therapy) esistono in ciascuno di noi una gamma di concetti di natura irrazionale, illogica e irrazionale, talvolta di tipo superstiziosa, a cui molte persone credono e vi si attengono continuando a soffrire.
Queste idee disfunzionali le troviamo associate alla maggior parte dei disturbi emotivi e delle abitudini comportamentali autolesive.

Metodo A,B,C...

A sta per antecedent, B per belief, C sta per conseguence.

A: situazione problematica,c’è sofferenza emotiva;

B: sono i pensieri, le convinzioni che le persone hanno per valutare bene o male l’A (antecedent);

C: sono le emozioni, comportamenti, azioni.

Scrivi su un foglio divindendolo in tre colonne (A, B, C):

 

A: Situazione

Il mio ragazzo non mi ha telefonato

B: Pensieri

Non mi ama, non ci tiene a me

C: Emozioni

Tristezza

Per ogni pensiero, per passare dalle convinzioni irrazionali alle convinzioni razionali, rispondi a queste tre domande:

  1. È vero quello che penso? ho le prove? se si quali?
  2. Questi pensieri mi aiutano a star bene o il meglio possibile?
  3. Quello che penso è utile per i miei scopi, per le cose che desidero?

Riscrivi i pensieri dopo averli ridimensionati con le tre domande.

Ripeti, ripeti e ripeti ancora, questo schema per creare nuove abitudini di pensieri, emozioni e comportamenti.

Il mondo va come deve andare. Ciò non vuol dire che vada bene. tuttavia nel mio scorcio di vita ho necessita di viverci al meglio dentro il mondo. E questo presuppone che io abbia aspettative realistiche in linea con con le mie possibilità, mezzi e spazi temporali. Se riesco ad ipotizzare uno stile di vita dove nulla o quasi è terribile, catastrofico o insuperabile vivrò meglio.

Bibliografia:

Ellis A. (1962), Reason and Emotion in psychoterapy, Secaucus, NJ: Citadel.

Ellis A. (1993), L’autoterapia razionale-emotiva, Trento, Erickson.

Di Pietro M. (1999), L’ABC delle mie emozioni, Trento, Erickson.

Verità R. (2000), Con la testa tra le favole, Trento, Erickson.